venerdì 10 agosto 2007

Cambiare operatore? Un sacrificio

di Alessandro Longo
L'Autorità Garante delle Comunicazioni (Agcom) sta continuando la battaglia per concedere agli utenti un diritto già da mesi ribadito dal decreto Bersani e ancora reclamato a gran voce dalle associazioni consumatori: poter recedere da un contratto di telefonia con la minor spesa possibile. Il che significa: non pagare penali e, nel caso delle sim prepagate, avere tutelato il credito residuo. Battaglia dura: gli operatori da questo lato ci sentono poco. Ecco quindi che nei giorni scorsi si è resa necessaria un'ulteriore tirata d'orecchie: l'Agcom ha diffidato i quattro operatori mobili, chiedendo loro di mettere in campo, in massimo 45 giorni (pena sanzioni), tutte le misure tecniche necessarie per garantire il credito residuo degli utenti. Ribadisce così un obbligo che già aveva varato con una delibera di giugno, inosservata però dagli operatori. Ha inoltre avviato da un mese un'indagine per stabilire se i costi di recesso, chiesti dagli operatori telefonici e televisivi, siano davvero pari alle spese da loro sostenute.La maggior parte delle associazioni dei consumatori scommette di no. È chiaro che cambiare operatore con facilità e poca spesa è un diritto importante: tutela non solo le tasche dei consumatori ma anche la libera concorrenza. E quindi, indirettamente, ancora e doppiamente i consumatori. Se aumenta la libertà di cambiare, gli operatori si sforzeranno a coccolare gli utenti, migliorando i servizi e i call center, abbassando i prezzi. Nonostante tutto, non è bastato il decreto Bersani sulle liberalizzazioni per abbattere completamente le barriere al libero passaggio degli utenti da un operatore all'altro. Fanno da freno ragioni tecniche e burocratiche; in altre parole, gli operatori non hanno avuto (finora) lo sprone adeguato per impegnarsi a superare le une e le altre.
La nuova presa di posizione dell'Agcom potrebbe cambiare le cose, ma ci vorrà tempo. Per il credito residuo chiede infatti due cose abbastanza complesse da applicare (in osservanza del decreto Bersani). Primo: l'utente possa portare con sé il credito quando cambia operatore con la number portability. Secondo: l'utente abbia restituito il credito residuo in contanti quando recede dal contratto senza fare portabilità del numero. Ad oggi nessun operatore assolve alla prima delle due richieste; Vodafone è il solo invece a ottemperare alla seconda: fa un bonifico all'utente che recede, pari al credito residuo meno otto euro (sottratte per coprire le spese relative all'operazione).Dopo la diffida, è certo che gli operatori si metteranno al lavoro per attuare almeno la prima delle due richieste, per la quale è necessario solo un intervento tecnico-burocratico. Gli operatori, in riunioni che a quanto risulta sono già in corso e dureranno fino a settembre, devono infatti mettersi d'accordo per creare una piattaforma comune informatica. Serve per potersi scambiare il credito delle sim che migrano e sarà analoga a quella ora usata per la number portability. È un processo che sarà gravoso da realizzare: è necessario infatti anche un accordo sulle compensazioni che gli operatori dovranno darsi gli uni con gli altri. Quando un credito migra da un gestore a un altro, infatti, si crea una situazione anomala: l'utente ha comprato traffico da un operatore ma poi lo utilizza per fare chiamate con un altro. Quest'ultimo offre insomma un servizio a un utente che però lo paga con soldi entrati in cassa a un altro operatore. Il subentrante deve quindi in qualche modo essere ricompensato dal precedente operatore.
Nascerà probabilmente un sistema di compensazioni (forse su base mensile o annuale), un po' com'è tra le banche per gli utenti che spostano conto corrente. È evidente che faticare per raggiungere questo obiettivo è interesse più degli operatori minori (Wind e 3) che dei maggiori (Tim e Vodafone). Chi ha una quota di mercato minore è più invogliato, per accrescerla, a facilitare le migrazioni. Per l'indagine sui costi di recesso, invece, la cosa complessa sarà un'altra: verificare che gli operatori non barino. Agcom a tal scopo dovrà infatti analizzare quali costi in effetti gli operatori subiscono per attivare e disattivare l'utente. Ad oggi Telecom Italia chiede 40 euro per il recesso (ma 60 se la disdetta è sia dell'Adsl sia del telefono); è gratis però dal secondo anno di abbonamento in poi. Wind, Tele2 e Tiscali chiedono 40, 60 e 50 euro sempre, rispettivamente. Fastweb ha appena cambiato questi costi: ora sono 49 euro sempre; prima erano a scalare (da 217,20 euro fino a zero dopo il 12esimo mese di abbonamento). Le associazioni dei consumatori (in particolare, Adiconsum) l'ha convinta a ideare un sistema più semplice e trasparente, che ha il solo neo di svantaggiare gli abbonati più anziani. Sono più rari i costi di recesso per gli operatori mobili: hanno destato le polemiche di Aduc in particolare quelli di 3 Italia. Li applica nel caso l'utente abbia un cellulare in comodato d'uso. Dopo il recesso lo restituisce, ma 3 riscuote comunque un obolo (fino a 240 euro, segnala Aduc), in base al modello e all'anzianità dell'utente. 3 dice di coprire così i costi relativi al deprezzamento del cellulare noleggiato (che, dopo la restituzione, com'è ovvio non può essere rivenduto come nuovo e quindi perde di valore).

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